sabato 29 settembre 2007

Proprietà geometriche dei sensori: 3 - Il campionamento

Campionare significa convertire qualcosa di continuo (ad es. un segnale, nel nostro caso luminoso) in qualcos'altro di discreto. Infatti un sensore, CCD o CMOS che sia, è composto da un numero finito ("discreto") di punti che chiamiamo appunto fotoelementi.

Questa è una prima importante caratteristica: a parità di dimensioni del sensore, maggiore è il numero dei fotoelementi che lo compongono e maggiore è la risoluzione dell'immagine finale.

Occorre però fare i conti con un altro aspetto: il potere risolutivo del nostro telescopio. Infatti, prima ancora di raggiungere il sensore, la luce dell'oggetto che vogliamo riprendere attraversa le ottiche del telescopio che notoriamente hanno un limite nel loro potere di risoluzione: tale limite (teorico) è inversamente proporzionale al diametro dell'obiettivo del telescopio. Per le lunghezze d'onda nel visibile normalmente si utilizza la formula (formula di Dawes):

a = 120/D

dove a è l'angolo minimo risolvibile in arcosecondi o minimo dettaglio visibile in arcosecondi , 120 è una costante (costante di Dawes) e D è dell'obiettivo in millimetri.

Esempio: il telescopio principale dell'Osservatorio di Cavezzo ha un diametro di 400 mm. Il suo potere risolutivo secondo la Legge di Dawes è di 120/400 = 0.3 secondi d'arco.

Se vogliamo sfruttare al massimo il nostro telescopio dovremo quindi scegliere un sensore con le dimensioni dei fotoelementi tali da mantenere il potere di risoluzione teorico: qui subentra il famoso criterio di Nyquist che tradotto per il nostro caso specifico stabilisce che la dimensione del minimo elemento del sensore (fotoelemento) deve essere al massimo la metà del più piccolo particolare che si vuole distinguere.

Esempio: il telescopio principale dell'Osservatorio di Cavezzo ha un potere risolutivo teorico di 0.3 secondi d'arco. Per poter mantenere questo potere risolutivo i fotoelementi del sensore da accoppiare al telescopio devono campionare al massimo 0.3/2 = 0.15 secondi d'arco.

E torniamo finalmente al concetto di campionamento: il campionamento è direttamente proporzionale alle dimensioni del fotoelemento e inversamente proporzionale alla lunghezza focale del telescopio.

In sostanza il campionamento rappresenta l'area di cielo coperta da un singolo fotoelemento.

Tradotto in una pratica formuletta diventa:

dove il campionamento C è espresso in secondi d'arco (per questo compare il fattore di conversione 206265, altrimenti sarebbe espresso in radianti) mentre la dimensione del fotoelemento d e la lunghezza focale del telescopio L devono essere riportati entrambi con la stessa unità di misura ad esempio in millimetri)

Esempio: che campionamento dell'immagine otteniamo se al telescopio principale dell'Osservatorio di Cavezzo vogliamo utilizzare un sensore CCD composto da fotoelementi quadrati di dimensione 24 x 24 micron? Il sensore va posto sul fuoco Newton del telescopio con focale L = 2210 mm. Un micron equivale ad 1/1000 di millimetro dunque i fotoelementi hanno lati di 0.024 mm. Il campionamento che ottengo con quel sensore al fuoco Newton del telescopio sarà dunque di (206265*0.024)/2210 = 2.24 secondi d'arco per fotoelemento.

Dunque, stando all'esempio precedente, siamo completamente fuori strada! Un fotoelemento di 24 micron di lato coprirebbe una porzione di cielo ben sette volte più grande del potere di risoluzione del telescopio; per non parlare poi del criterio di Nyquist che richiederebbe un campionamento di soli 0.15 secondi d'arco per fotoelemento se vogliamo mantenere il potere risolutivo del telescopio anche nelle nostre immagini digitali! In questo caso si dice che stiamo sottocampionando il segnale luminoso. Al contrario, quando il fotoelemento sottende una porzione di cielo più piccola del limite imposto dal criterio di Nyquist si dice che stiamo sovracampionando il segnale.

Purtroppo abbiamo a che fare con un altro effetto del quale dobbiamo tenere conto e che in parte può giustificare la scelta di fotoelemento più grandi del dovuto: la turbolenza atmosferica. Prima ancora che la luce degli oggetti celesti possa raggiungere le ottiche del telescopio e quindi il nostro sensore, essa deve attraversare una lente naturale in continua deformazione: la nostra atmosfera.

Seeing pessimo


Seeing medio


Seeing ottimo

le animazioni qui sopra sono state ottenute con l'ottimo software freeware Aberrator e mostrano chiaramente come avviene il degrado dell'immagine di una sorgente puntiforme (stella) al variare delle condizioni di seeing. In particolare si nota che peggiore è il seeing e maggiore è l'area sulla quale viene distribuita la luce proveniente dalla stella.

La misura più comune del seeing è data dalla larghezza piena a mezza altezza (FWHM, dall'inglese Full Width Half Maximum) della PSF e viene espressa in secondi d'arco. La FWHM è un'utile punto di riferimento anche per comprendere la risoluzione angolare massima ottenibile con i telescopi.

Le migliori condizioni di seeing da terra permettono di avere una FWHM di circa 0,4 secondi d'arco e si ottengono solo in luoghi particolari e per poche notti all'anno.

Un momento... allora, in base agli esempi precedenti il telescopio di Cavezzo con un potere risolutivo teorico di 0.3 secondi d'arco sarebbe già sufficiente per sfruttare al massimo le migliori serate nei migliori siti d'osservazione sulla Terra?! Teoricamente sì ma le cose non stanno esattamente così: purtroppo, dati alla mano, in serate rare e di eccezionale calma atmosferica, il seeing a Cavezzo (come in molte zone dell'Italia) è intorno ai 2 secondi d'arco mentre mediamente oscilla tra i 3 e i 4 secondi d'arco. Ecco allora che il valore trovato prima di campionamento (2.24 secondi d'arco per pixel) appare più accettabile in quanto permette di campionare quasi esattamente il seeing medio del sito d'osservazione soddisfacendo in parte anche al criterio di Nyquist.

venerdì 28 settembre 2007

Proprietà geometriche dei sensori: 2 - Aspect Ratio

I sensori utilizzati in campo astronomico sono generalmente di forma quadrata o rettangolare: l'immagine che riprodurranno sullo schermo del computer sarà conseguentemente di forma quadrata o rettangolare. In tal caso si parla di Image Aspect Ratio che sarà uguale a 1 nel caso di sensori quadrati, maggiore di 1 se il sensore è rettangolare con il lato orizzontale maggiore di quello verticale e minore di uno se viceversa il lato orizzontale è minore di quello verticale. La definizione precisa dell'Image Aspect Ratio è data dalla formula:

dove Ix è la lunghezza dell'asse orizzontale del sensore e Iy la lunghezza di quello verticale.
E' importante sottolineare che Ix e Iy sono le dimensioni fisiche del sensore e non il numero dei fotosensori per ogni asse perchè i fotosensori stessi, come vedremo più avanti, possono essere a loro volta rettangolari.

Come abbiamo detto in precedenza, i fotosensori che compongono la matrice del sensore possono a loro volta essere di forma quadrata o rettangolare. In tal caso si parla di Pixel Aspect Ratio e questo determina importanti conseguenze per la ricostruzione finale dell'immagine sullo schermo del PC. La definizione del Pixel Aspect Ratio è del tutto simile alla precedente:


dove Px è la lunghezza dell'asse orizzontale del fotoelemento e Py la lunghezza di quello verticale.

Esempio: la fotocamera Audine monta un sensore KAF-0401E della Kodak composto da 768 x 512 fotosensori quadrati da 9 micron di lato. Qual'è il suo Image Aspect Ratio e Pixel Aspect Ratio? Nel datasheet della casa costruttrice del CCD troviamo che le dimensioni fisiche dell'area fotosensibile sono di 6.91 mm in orizzontale per 4.6 mm in verticale quindi la Image Aspect Ratio sarà Iar = 1.5 . Si noti che molto spesso i costruttori riportano questo numero con un rapporto frazionale, ovvero, nel nostro esempio Iar = 3:2. I fotosensori sono quadrati, quindi la Pixel Aspect Ratio sarà Par = 1.

L'utilizzo di sensori con un Iar diverso da 1 non è raro anzi, è frequentemente utilizzato anche in astronomia e non comporta particolari conseguenze alla geometria finale dell'immagine. Diverso è il discorso per il Par: i sensori con un Par diverso da 1 ovvero con i fotosensori rettangolari sono, quando possibile, da evitare, soprattutto in campo astronomico. In primo luogo la rappresentazione a schermo (che generalmente è composto da elementi quadrati) di un'immagine ricavata da un sensore con elementi rettangolari ne determina sempre una distorsione geometrica. In secondo luogo ci sono parecchi dubbi sulla effettiva validità e precisione delle misure astrometriche eseguite su immagini generate con fotosensori rettangolari.

Immagine originale dell'ammasso del Tucano
eseguita con una camera Starlight Express MX-5 . (Courtesy J.Cutler - Australia)


La stessa immagine di sopra trasformata
per ripristinarne la corretta geometria

L'immagine qui sopra è stata ripresa con una camera CCD Starlight Xpress MX5-C che monta un sensore Sony ICX055BK. Questa particolare camera CCD a colori ha varie modalità di ripresa: in questo caso è stata utilizzata la modalità standard 500 x 290 con sensori di dimensioni 9.8 x 12.6 micron, quindi con un Par = 0.777778. Questo comporta che per ripristinare le corrette proporzioni dell'immagine occorre "deformarla" lungo l'asse verticale del 100 / 0.777778 = 128.6%.

Utilizzando software specializzati come Astroart è possibile ripristinare le corrette proporzioni semplicemente selezionando il modello di camera CCD nella finestra del comando Ridimensiona.

Il comando "Ridimensiona" di Astroart permette
una veloce correzione della proporzione delle
immagini in caso di fotoelementi rettangolari

Curiosità e approfondimenti

Non è un caso che molti sensori CCD o CMOS abbiano un Image Aspect Ratio pari a 3:2: deriva direttamente dal formato fotografico standard delle pellicole 35 mm che hanno un'area sensibile di 36 mm di larghezza per 24 mm di altezza cioè un Iar = 1.5. I sensori di derivazione televisiva invece hanno generalmente dei Iar pari a 4:3 e 16:9.

giovedì 27 settembre 2007

Proprietà geometriche dei sensori: 1 - Premessa

Un sensore CCD o CMOS è essenzialmente una matrice di elementi semiconduttori sensibili alla luce chiamati fotoelementi (photosite). La forma e le dimensioni di questi fotoelementi, oltre alla forma e alle dimensioni complessive della matrice che compongono il sensore, ne determinano le proprietà geometriche.

I fotoelementi stanno al sensore come i pixel stanno all'immagine digitale.

I fotoelementi del sensore posti sul piano focale del telescopio scompongono l'immagine continua dell'oggetto che si sta osservando in tante piccole parti discrete (pixel) che verranno ricomposte nell'immagine digitale sullo schermo del computer.

Il dischetto giallo a sinistra rappresenta l'illuminazione di un disco stellare
sui fotoelementi di un sensore CCD. A destra come esso viene rappresentato
sullo schermo del personal computer


Stiamo subito attenti alla terminologia che utilizzeremo: è importante distinguere la differenza sostanziale tra fotoelemento e pixel: il primo è l'elemento minimo che fisicamente compone il chip del sensore mentre il secondo è l'elemento minimo virtuale che rappresenta l'immagine digitale finale (in sostanza è un numero!)

Le proprietà geometriche del sensore sono fondamentali per capire come vanno le cose sul piano focale del nostro telescopio: infatti è solo in base esse (oltre che alla lunghezza focale del telescopio e al potere risolutivo dello stesso) che possiamo determinare due importanti quantità per il nostro lavoro di astronomi dilettanti: il campionamento dell'immagine insieme all'ampiezza del campo di ripresa e il rapporto d'aspetto (aspect ratio) finale dell'immagine.

mercoledì 26 settembre 2007

Una doverosa introduzione

Carissimo amico,

benvenuto nel mio BLOG. Se mi stai leggendo è evidente che hai qualche interesse per una scienza straordinaria: l'Astronomia. Questo, credimi, al giorno d'oggi non può che farti onore: gli astronomi, professionisti o dilettanti non importa, li considero degli eroi moderni insieme a tanti altri ricercatori delle scienze più pure come la matematica, la fisica, la chimica ecc.

Si parla di persone laboriose e silenziose, che di norma non partecipano a trasmissioni televisive (se non rispondendo agli inviti di Piero Angela, una delle poche persone che ne capisce l'importanza e che grida, inascoltato, a politici ed istituzioni, la cronica indifferenza per della ricerca scientifica in Italia).

Pensate a quanti sacrifici devono fare i giovani ricercatori italiani che per un pezzo di pane conducono ricerche impensabili e, purtroppo, inspiegabili ai più (la cultura scientifica popolare in Italia è quasi nulla: come fai a spiegarle le cose?) Giovani che non si lasciano facilmente manipolare e condizionare se non da un unica cosa: il metodo scientifico. Veri eroi!

Per questo, forse con tanta presunzione, da anni accarezzavo l'idea di scrivere qualcosa sulla Rete circa le mie competenze nell'utilizzo dei moderni strumenti informatici nel campo dell'Astronomia: volevo dare seguito alle tante domande che mi rivolgevano i visitatori dell'Osservatorio Astronomico di Cavezzo e contribuire, nel mio piccolo, a sconfiggere l'analfabetismo scientifico in Italia.

La mia cronica pigrizia e insicurezza mi hanno sempre trattenuto, consapevole anche del fatto che è un lavoro molto difficile da mantenere con una certa continuità.

Ora ho preso coraggio e inizio quest'avventura, conscio che il BLOG, strumento ideale per fare informazione, probabilmente non è il più adatto per fare quello a cui tengo di più, cioè formazione. D'altro canto il blog mi dà l'indiscutibile vantaggio di pubblicare velocemente i concetti a me noti come tante piccole pillole d'informazione velocemente fruibili, senza dovermi preoccupare di attendere la chiusura di un'opera complessa come potrebbe essere un manuale completo di astronomia digitale.

Attenzione: i primi post si concentreranno essenzialmente sui concetti di base dell'immagine digitale applicata all'astronomia. Concetti ben conosciuti soprattutto se lavori e ti documenti da anni in questo campo. Ti invito comunque alla loro lettura per due semplici motivi: il primo, forse scontato, è che mi farà estremamente piacere avere un tuo commento in proposito (soprattutto nel caso tu ravvisassi delle imprecisioni e/o inesattezze); il secondo, è che mi sforzerò sempre e comunque di esporre questi concetti in modo chiaro ma al contempo originale, riportando, quando possibile, argomentazioni non del tutto ovvie e banali.

Grazie per la tua attenzione e buona lettura!

Martino Nicolini

martedì 25 settembre 2007

L'immagine digitale


Un'immagine digitale è composta da una matrice di elementi, detti pixel organizzati in R righe e C colonne. Ad ogni pixel è associato un valore numerico che può essere intero o a virgola mobile. Avremo quindi tre numeri che mi identificheranno univocamente un pixel all'interno dell'immagine:
  • la coordinata di colonna c con valori compresi tra 0 e C-1
  • la coordinata di riga r con valori compresi tra o e R-1
  • il valore del pixel PV che viene generalmente riprodotto sullo schermo con un'intensità luminosa ad esso proporzionale (più grande è PV e maggiore è l'intensità luminosa).
Queste sono tutte le informazioni a nostra disposizione: sono preziose, soprattutto per gli astronomi, e le dobbiamo conservare con cura nella loro originale integrità e completezza.

Tre numeri per ogni pixel potranno sembrare poca cosa ma non è così: questi tre numeri hanno rivoluzionato l'Astronomia degli ultimi 30 anni. Con essi e soltanto con essi è possibile ricavare la posizione e la luminosità degli astri ovvero praticamente le basi di tutto ciò che conosciamo dell'Universo: la dinamica e la fisica delle comete, la composizione delle stelle, l'evoluzione delle galassie ecc. ecc. E' la potenza dei numeri, è la potenza del metodo scientifico!

OK, ma torniamo con i piedi per terra. Nell'immagine sopra (dove per chiarezza i pixel sono stati esageratamente ingranditi) notiamo che l'origine del nostro sistema di riferimento nell'immagine è il primo pixel in basso a sinistra e ha le coordinate (0,0). Di conseguenza l'ultimo pixel della prima riga ha coordinate (C-1,0) e l'ultimo pixel della prima colonna ha coordinate (0,R-1). Questa è la convenzione standard adottata dal formato FITS e conseguentemente dai programmi di visualizzazione ed elaborazione di immagini astronomiche come SAOImage DS9, il programma di visualizzazione di IRAF, FV Fitsviewer della NASA e Astroart .


Purtroppo però non è l'unica convenzione. Anzi, il sistema di coordinate più utilizzato nel campo della fotografia digitale è quello mostrato nella figura sopra. L'origine delle coordinate è il primo pixel in alto a sinistra e non più in basso a destra: la prima fastidiosa conseguenza di tutto ciò è che chi esporta immagini riprese con un programma che adotta la convenzione astronomica standard in un qualsiasi programma di fotoritocco (e nella maggior parte anche dei programmi astronomici commerciali o freeware) si ritrova con l'immagine invertita (l'alto al posto del basso e vicecersa). E ovviamente vale anche il contrario cioè importando un'immagine salvata con un programma di fotoritocco in un altro che adotta gli standard astronomici, essa apparirà invertita.